Marchi (PD): “A sinistra ci vuole la politica e un partito”

9 maggio 2015 | 17:59
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Marchi (PD): “A sinistra ci vuole la politica e un partito”

Il deputato Pd: “Credo che in questi giorni, con l’Italicum e le vicende della scuola, sia emerso un insegnamento che va colto, pena un prossimo naufragio”

REGGIO EMILIA – E’ certamente una fase difficile per il Pd. Non solo perché lo è ogni periodo che precede le elezioni e quelle regionali e amministrative del 31 maggio si presentano per niente facili, soprattutto in Veneto, Liguria e Campania, anche per l’uso strumentale che la Lega fa di una questione drammatica come l’ondata di migrazione dal nord Africa. Non solo perché non sarà facile trovare la risposta alla sentenza della Corte Costituzionale sulle pensioni senza sacrificare risorse per rafforzare le politiche per la crescita, cercando di cogliere le opportunità che vengono dalla fine della recessione. Soprattutto perché viviamo una profonda contraddizione.

Mentre si dà una risposta parlamentare, e non con sentenze della Corte Costituzionale, a un problema decennale come il superamento del porcellum, mentre si riprende ad investire sulla scuola dopo anni di tagli, sia dall’esterno che dall’interno del PD viene messa in discussione la natura stessa del Partito Democratico.

Partiamo dalla scuola. Il governo Letta ha segnato la fine dei tagli sulla scuola e la ripresa degli investimenti in edilizia scolastica. Il governo Renzi ha rafforzato la politica di investimenti e ha messo 1 miliardo nel 2015 e 3 miliardi dal 2016 in più per il funzionamento della scuola. Dopo anni in cui si è fortemente ampliato il precariato, si torna ad assumere: 100.000 nuove assunzioni, di cui 50.000 come dotazione aggiuntiva. Non ci sono gli applausi, ma una delle più forti contestazioni degli ultimi anni, più forte ancora di quando Berlusconi, Tremonti e Gelmini tagliavano 8 miliardi.
Un paradosso che si motiva sulle modalità delle assunzioni, in quanto il precariato è enormemente più vasto, e sulle funzioni dei dirigenti scolastici.

Oltre alle accuse di favorire le scuole private. Penso che vi sia una causa di fondo. Simile a quella del jobs act. Il disconoscimento del ruolo dei sindacati, non tanto in termini di concertazione mancata, ma di richiesta almeno di un confronto serrato. Ne discende sia l’accusa di autoreferenzialità che quella di avere in testa un modello autoritario.

Non se ne esce con la battuta che è andata per la maggiore dopo le primarie di fine 2013: “se ne faranno una ragione”. Bisogna perseguire la strada dell’ascolto, del dialogo e delle modifiche. Chiarendo che non ci sono risorse in più per le private. Non aumenta il fondo per le scuole non statali (tra cui ricordo che vi sono anche i contributi per le scuole comunali dell’infanzia), il 5‰ destinato alla scuola non sottrae risorse pubbliche, mentre le detrazioni fiscali per contributi privati per l’edilizia scolastica cercano di indirizzare a finalità pubbliche le risorse private. Va certamente ridimensionato il ruolo dei dirigenti, o, per meglio dire, aumentato quello degli organi collegiali. Si sta ragionando su tutti i temi, complicati, relativi ad assunzioni, graduatorie, mobilità.

Credo che lo spazio ci sia per modifiche che possano produrre consenso. Non basta la comunicazione. Occorre la politica, che è anche la fatica del confronto estenuante e la pazienza per cercare la soluzione migliore. Qui si misura la capacità di essere un partito riformista. Sulla legge elettorale si è consumata una dolorosa pagina di divisioni interne. A mio avviso incomprensibili. L’Italicum non è una versione corretta del porcellum. E’ altra cosa. Abbiamo sempre condiviso la necessità di una legge elettorale con cui fossero chiare le vittorie e le responsabilità di governo. La Corte Costituzionale ci ha detto che non si possono dare premi di maggioranza senza una soglia minima.

Con l’Italicum le soglie sono due: 40% al primo turno (le minoranze PD hanno ottenuto di passare dal 37 al40) superiore al 50% nel caso di secondo turno con ballottaggio tra le prime due liste. Meglio le liste che le coalizioni, che si sono sempre rotte successivamente in questi 20 anni. Altro obiettivo: gli eletti scelti dagli elettori. La Corte Costituzionale ha bocciato un sistema di liste bloccate e di liste lunghe, che non permettono la riconoscibilità dei candidati. Già le liste bloccate corte, cioè con pochi candidati per collegio, garantivano la riconoscibilità. Ora nella versione definitiva, abbiamo il capolista con nome e cognome stampato sulla scheda, le preferenze per gli altri candidati, sempre con collegi con pochi candidati (da 3 a 9). I capilista sono nominati? Sono la versione più vicina ai candidati in collegi uninominali, dove, quando c’era il mattarellum, si diceva che venivano calati dall’alto, salvo successivamente considerare quel sistema il migliore possibile. Comunque non è vero che il 70% della Camera sarà di nominati. Dipende da molti fattori.

L’unico dato certo è che almeno il 70% dei 340 deputati di maggioranza, cioè 240, saranno eletti con le preferenze. Essendoci 100 collegi, non possono esserci più di 100 capilista eletti (potrebbero essere meno, perché si può essere candidati capilista in 10 collegi). Quindi non c’è l’uomo solo al comando. E anche nel nuovo Senato, pur con elezione di secondo grado, vengono eletti consiglieri regionali, a loro volta tutti eletti con preferenze. Non vedo derive autoritarie.

L’Italicum in versione definitiva garantisce, inoltre, se non la parità assoluta, un sistema tendente alla parità di genere, così come la rappresentanza delle forze politiche minori, essendo stata portata la soglia di sbarramento per l’ingresso al 3%. Il PD ha visto divisioni nel voto. Voglio ricordare che l’accordo elettorale, con cui il PD e SEL hanno definito i loro candidati, prevedeva che su questioni controverse si decidesse a maggioranza nei gruppi parlamentari.

Il gruppo parlamentare PD alla Camera ha deciso a larga maggioranza (formalmente all’unanimità) che andava approvato il testo già passato al Senato. E’ certamente stata una forzatura la fiducia, ma sono state forzature anche le richieste di voto segreto da parte delle opposizioni e la presentazione di emendamenti da parte di alcuni parlamentari PD, in contrasto con le decisioni del gruppo. Tutto questo, però, rimanda a un problema più generale.

Come sta insieme un partito, come deve essere un partito, se ci vuole un partito. Non riguarda solo alcuni di noi, riguarda tutti, a partire da chi ha le massima responsabilità.
Credo che in questi giorni, con l’Italicum e le vicende della scuola, sia emerso un insegnamento che va colto, pena un prossimo naufragio: a sinistra ci vuole la politica e ci vuole un partito.