Acqua pubblica, Tutino: “E’ un investimento sicuro”

20 maggio 2015 | 15:56
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Acqua pubblica, Tutino: “E’ un investimento sicuro”

L’assessore comunale risponde al nostro articolo: “L’alternativa rischia di essere un irreversibile processo di allontanamento di questi servizi dal territorio”

REGGIO EMILIAL’assessore Mirko Tutino, uno dei maggiori fautori della realizzazione di una società pubblica per la gestione dell’acqua, interviene dopo il nostro articolo, “Acqua pubblica, un sogno da oltre 200 milioni di euro”. Ecco la sua risposta.

“Voglio chiarire alcuni punti di quello che viene definito “un sogno da 200 milioni” e cioè il percorso per la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato. É normale che il tema possa suscitare un dibattito sulle cifre ed aprire un confronto su cosa intendiamo per servizio pubblico.

Partirei qui dalla storia di questo servizio. Reggio Emilia, grazie alla lungimirante scelta di costituire Agac, ha integrato le reti di 45 comuni, garantito un elevato livello di investimento e prodotto risultati tra i migliori in Italia: dispersione idrica sotto il 20%, tariffa uguale – e sostenibile – sia per i piccoli centri e la case sparse che per la città, una rete di 8.000 km e 31 acquedotti dotata di sistemi elettronici di controllo ed un laboratorio capace di analizzare l’acqua in misura 5 volte superiore agli obblighi di legge. L’insieme di tutto questo ha prodotto un servizio di qualità, capace di produrre investimenti anche per i piccoli comuni, che la logica del profitto (e della concentrazione delle bollette solo sui grandi centri) avrebbe penalizzato.

Tra il 2005 ed oggi tutto questo si è mantenuto solo ed esclusivamente perché non sono stati “smontati” i servizi e il presidio territoriali. Questo nonostante i tentativi di un grande gruppo industriale di portare alcuni centri di controllo fuori dal nostro territorio e nonostante una riduzione importante degli investimenti (-30% negli ultimi anni).

Le analisi fatte nel 2012 ci dicono che laddove si è andati a gara il soggetto che conquista la gestione se la tiene per 25/30 anni. E questo anche se viene privatizzato, anche se si fonde con altre aziende, anche se gli enti locali riducono ulteriormente la propria influenza. Inoltre, le stesse analisi, ci dicono che Reggio ha già un bacino che si può considerare come “industriale” (mezzo milione di abitanti) e che non necessita di ulteriori economie di scala.

Ecco quindi perché nel 2013 si è scelto di andare verso una gestione in-house (pubblica) interamente reggiana. Ed è su questo mandato che ho lavorato insieme a diversi sindaci della provincia. Un mandato ampio, collettivo, che nasce dall’esito del referendum (che, unici in Italia, abbiamo voluto rispettare avviando un percorso partecipato sul futuro del servizio idrico reggiano), dalla scadenza della concessione di Iren (dicembre 2011), da quattro delibere assunte dai sindaci in maniera unanime e dal programma elettorale col quale quasi tutti i sindaci Pd (e lo stesso Pd) si sono presentati al voto.

Mi si perdoni la polemica, ma è singolare che qualcuno voglia raccontare tutto ciò come una sorta di mia battaglia personale per avere visibilità. Ho semplicemente fatto una cosa rivoluzionaria: cercare di rispettare un referendum, un mandato dei sindaci, un mandato elettorale. Andrebbe poi chiarito che un amministratore (ma non solo) ha forse maggiore interesse personale nello schierarsi perché una gestione che vale 2 miliardi di euro di fatturato in 25 anni rimanga in capo a gruppi industriali che assegnano incarichi, elargiscono sponsorizzazioni e – come é avvenuto in tutta Italia – assumono senza concorsi.

Ma voglio parlare anche del tema del debito. Oggi stiamo pagando in tariffa debiti contratti da Iren per realizzare investimenti. Questi debiti sono inseriti nei 2.2 miliardi di euro di debiti complessivi del gruppo. Sono debiti garantiti con il patrimonio dell’azienda. Patrimonio che è nel nostro territorio e sul quale è assai scarsa la capacità decisionale e, soprattutto, di acquisire informazioni, da parte dei comuni più piccoli o dei singoli cittadini. Affidando il servizio ad Agac Infrastrutture, società a totale capitale pubblico, una quota pari a 102 milioni di euro di questo debito verrebbe trasferita su Agac che, esattamente come ora, pagherebbe con le tariffe sia la quota di capitale che di interessi.

Con alcune differenze: si ipotizza per la nuova società un interesse più basso di quello che attualmente chiede Iren, si potrebbero riutilizzare eventuali margini che esistessero tra ciò che si incassa e ciò che si spende per il prestito, si avrebbe un controllo diretto dei costi operativi. Infine ci sarebbe un importante particolare: si potrebbero controllare la quantità degli investimenti e la loro distribuzione sul territorio.

Ai 102 milioni si aggiungono 20 milioni per avere la “cassa” del primo anno (denaro che rientrerebbe non appena si incassano le tariffe). Altri debiti riportati nell’articolo (che produrrebbero i 200 milioni citati) sono già in capo ad Agac e pertanto non ci sarebbe differenza tra la ripubblicizzazione e la gara. Infine vanno considerati alcuni aspetti.

La gara sarebbe solo sulla carta, è ovvio che solamente Iren o una sua controllata avrebbero modo di partecipare. Così è avvenuto ovunque ci fosse un gestore uscente. Non si potrebbe incidere sui costi operativi dell’azienda, non avremmo elementi per mettere davvero a gara servizi come la fornitura di corrente al servizio idrico. Nessuno sostiene che in passato unire vari business (energia, acqua e rifiuti) non abbia prodotto anche dei benefici. Ma non è stato così negli ultimi anni ed il nuovo sistema tariffario e di regolazione rendono l’acqua un investimento più sicuro e più solido dal punto di vista finanziario.

E più in attivo, come rileva la trimestrale di Iren. Per questa ragione sia Cassa depositi e prestiti che diverse banche commerciali si sono interessate al progetto. Reggio é un contesto sano, dove i cittadini pagano le bollette e le reti sono in buono stato.

Nelle prossime settimane si metteranno sul tavolo i dettagli di questa proposta, cercando anche una risposta a interrogativi emersi di tipo normativo e di incidenza sui Comuni. Nessuno sottovaluta la complessità di questo progetto, ma con altrettanta lungimiranza va messo sul piatto il fatto che l’alternativa rischia di essere un irreversibile processo di allontanamento di questi servizi dal territorio. Di questo i sindaci e le comunità locali dovranno discutere liberamente e con serenità, mettendo sul piatto pro e contro. Possibilmente senza banalizzare e semplificare.

Abbiamo già vissuto, su tanti fronti, diversi impoverimenti di servizi di qualità del nostro territorio. Ed una concessione del servizio idrico dura tra i 25 ed i 30 anni. Si esaurirà, mostrandoci gli effetti di ciò che decideremo oggi, quando mia figlia di 4 anni avrà la mia età. Non sono molte le scelte di questa portata che un amministratore ha l’opportunità di compiere”.